La produttività linguistica. Neologismi e lingua in evoluzione

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La produttività linguistica. Neologismi e lingua in evoluzione

By Maria Antonietta Ricagno | Published  11/12/2011 | Italian | Not yet recommended
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Quicklink: http://chi.proz.com/doc/3419
La produttività linguistica è una caratteristica delle lingue naturali attraverso la quale esse, o meglio i parlanti, sono in grado di creare un numero infinito di frasi usando un numero finito di parole. In altri termini, la produttività consiste nella possibilità insita in ogni procedimento morfologico di essere usato per la creazione di nuove formazioni, siano esse lessematiche o flesse, cioè sostantivali e aggettivali oppure verbali. Per fare un esempio, lo stesso nome ‘produttività' deriva dall'aggettivo ‘produttivo'.
Esiste tutta una serie di suffissi (-mento; -ita; -tura ecc.) che, apposti a nomi o verbi, creano nuove formazioni, come ‘comportamento', ‘chiusura', ‘vendita' ecc. Non tutti i suffissi hanno lo stesso grado di produttività, che determina la loro diffusione e si valuta mediante i corpora linguistici, uno strumento particolarmente adatto a questo tipo di studi.
Questo meccanismo di formazione di parole nuove è illimitato: le lingue naturali, in continua evoluzione e cambiamento, sono plasmate dai parlanti, che le trasformano. Oltre all'illimitatezza, le lingue sono dotate della caratteristica dell'equipollenza, in base alla quale qualsiasi concetto che sia esprimibile in una lingua lo sarà anche in un'altra. Attenzione: si parla di concetti e non di parole, cioè, non è detto che tutte le lingue dispongano sempre della parola adatta ad esprimere un determinato concetto. Per tale motivo, si ricorre alla perifrasi, che tenta di colmare la mancanza del termine in questione con un ‘giro di parole': tanto più questo sarà efficace, tanto minore sarà il significato perso nel processo traduttivo, fermo restando che durante tale processo spesso permangono aree di indeterminatezza (‘lost in translation'), in quanto esso comporta un procedimento di trasferimento culturale, oltre che meramente linguistico.
Un interessante aspetto legato alla produttività è rappresentato dal modo in cui il cervello umano elabora l'input linguistico, cioè le cause che stanno alla base della produttività dei processi morfologici. Sempre grazie ai corpora linguistici, si è notato come esistano forme a bassa frequenza e forme ad alta frequenza, cioè più o meno diffuse nell'uso da parte dei parlanti. Questo ci offre uno spunto interessante per valutare la distribuzione di tali forme dal punto di vista psicolinguistico: nel lessico mentale(1), è possibile accedere a una parola morfologicamente complessa servendosi di due modalità, cioè l'accesso diretto (recupero della parola intera) o l'accesso tramite scomposizione morfologica (recupero delle parti della parola). Si tratta di percorsi in diretta concorrenza reciproca - in quanto uno prevale sempre sull'altro - e il cui uso è dettato dalla frequenza della diffusione di una parola.
Per fare un esempio generale, se una parola morfologicamente complessa è molto diffusa, cioè i parlanti fanno frequente accesso a essa, nel lessico mentale si rafforza la sua forma intera, che sarà quella attraverso cui è recuperata più frequentemente. Quindi, rafforzandosi l'uso della forma intera della parola in questione, i parlanti faranno sempre meno ricorso alla sua forma scomposta in parti (morfemi).
Il concetto di frequenza è strettamente legato alla questione della formazione dei neologismi, cioè l'introduzione di parole nuove in una lingua, che può avvenire per vari motivi. La creazione di neologismi è diretta conseguenza della capacità produttiva di ogni lingua, grazie alla quale si arricchisce il lessico e, nel corso degli anni, essa subisce trasformazioni.
Nel corso del tempo, molti termini o espressioni cadono in disuso (si pensi al termine ‘paninaro' che, sparito il fenomeno sociale grazie al quale era nato, è anch'esso uscito dall'uso) e, al contempo, altri li rimpiazzano nell'uso dei parlanti. Questo meccanismo fa parte di un'economia linguistica che tende sia a conservare un equilibrio naturale, sia a rigenerare la lingua.
Tuttavia, la formazione dei neologismi non segue percorsi arbitrari, bensì è regolata da motivazioni di varia natura: si tratta di un processo continuo, spontaneo, ma con alcune limitazioni. Innanzitutto, perché un termine nuovo sia accettato nell'uso, deve essere utile, semplice, ma anche adeguato al contesto sociale. Quest'ultima caratteristica restringe l'uso del neologismo a un determinato contesto o tipo di linguaggio settoriale. Un esempio tipico è il linguaggio burocratico, che utilizza frasi ed espressioni non di uso comune nel parlato quotidiano. Diamo un'occhiata a questi esempi:

• produrre un attestato comprovante l'esistenza ecc • risultando iscritto nel registro dei certificati ecc. • la circolare avente per oggetto la richiesta dello scrivente
Purtroppo, non sempre la creazione di un neologismo è così desiderabile: è il caso delle mode linguistiche, spesso generate e amplificate dai mezzi di comunicazione e dal linguaggio giornalistico. Qui, gli esempi abbondano: affittopoli, calciopoli, vallettopoli, tutti creati sulla falsariga del precursore tangentopoli e dettati da pigrizia mentale, quando non da ignoranza vera e propria.
A questo punto, potremmo lanciarci in una filippica contro l'appiattimento della lingua causata dal linguaggio televisivo e giornalistico, e troveremmo decine e decine di esempi da citare, a iniziare da espressioni stereotipate che hanno ormai perso di significato, come:
• il paese è sotto shock • operazione su vasta scala • bufera sul Consiglio di Amministrazione • il vecchio continente • lo stadio è esaurito in ogni ordine di posti • lo stadio è in delirio • la Borsa è in caduta libera
e si potrebbe andare avanti ancora per molto (ma ve lo risparmio).
L'aspetto maggiormente deleterio di un simile appiattimento è l'impoverimento della conoscenza lessicale da parte delle nuove generazioni, il cui vocabolario si riduce sempre più: stiamo purtroppo da tempo assistendo a un analfabetismo di ritorno generato e a sua volta generante ignoranza. Difficoltà di comprendere ciò che si legge e altrettanta difficoltà a comunicare ciò che si dice sono i guasti provocati, fra l'altro, da uno scadimento culturale generale e dall'uso del linguaggio gergale degli SMS, che disabitua alla ricchezza lessicale della lingua, distorcendola.
Fra gli usi distorti della lingua che stanno emergendo in questi anni, vi sono purtroppo espressioni quali:
• assolutamente sì, assolutamente no (per affermare o negare qualcosa non è più sufficiente un semplice ‘sì' o ‘no'?)
• piuttosto che ('piuttosto' usato in un'accezione completamente contraria, opposta e scorretta). Esaminiamo, ad esempio:
• Piuttosto che andare a lavorare in quel posto, preferisco licenziarmi (uso corretto) • Sono andato a lavorare, piuttosto che in vacanza o a fare una passeggiata (uso scorretto)
quant'altro, preso in prestito dal linguaggio burocratico e usato erroneamente a chiusura di frasi relative. L'uso corretto prevede, ad es., un participio passato dopo quant'altro:
Questa decisione, e quant'altro deliberato in sede di assemblea.
La sensazione che si ha ascoltando una frase che termina con questa locuzione è di discorso interrotto a metà, proprio in quanto ci si aspetterebbe un seguito logico a conclusione del pensiero espresso.
Altra cattiva abitudine linguistica emersa di recente è la tendenza a eliminare l'uso del ‘per favore' nelle richieste. Quella che fino a poco tempo fa era l'espressione di una richiesta, ad es. ‘Può togliere la borsa dal banco, per favore?, oggi viene sbrigativamente e sgarbatamente liquidata con un ‘ Può togliere la borsa dal banco, grazie?. Segno dei tempi? Abbiamo forse così poco tempo a disposizione dal dover essere costretti a ‘saltare un passaggio' e andare direttamente a un frettoloso ringraziamento che da per scontato che il nostro interlocutore abbia già eseguito quanto richiesto?
La speranza è sempre che, in determinati casi, il processo di selezione naturale delle lingue faccia cadere in disuso simili espressioni.
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(1) In psicolinguistica, l'insieme complesso di memorie che si riferiscono alle parole e che codificano forma fonologica, struttura morfologica, categoria grammaticale, significato.


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